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Emilia, Maggio 2012
Redatto il: 20 maggio 2017 ore 07:44

20  Maggio 2012. Sono passati 5 anni da quella fatidica notte, 5 anni di ricostruzione, di fatiche, di studi e purtroppo anche di “bufale”. In questo articolo analizzeremo nella maniera più esaustiva possibile quello che è successo, quello che si sapeva su quest’area e quello che è stato detto in conseguenza ai terremoti. Ma andiamo con ordine, iniziando con il descrivere cosa successe in quegli ultimi 10 giorni di Maggio 2012.

20 Maggio 2012, una scossa di magnitudo di magnitudo 4.0 alle ore 01:23 fa tremare la bassa pianura emiliana, compresa tra le provincie di Modena, Ferrara e Bologna; la scossa viene avvertita anche in Lombardia e Veneto. Una scossa intensa, non distruttiva, ma che purtroppo più tardi sarà seguita da una scossa ben più forte. La scossa delle ore 01:23 è quella che i geologi, dopo aver studiato la sequenza sismica a posteriori, chiamano “foreshock”, cioè una scossa premonitrice dell’evento principale successivo.

L’evento principale, “main shock”, non si fa attendere, alle ore 04:03 una scossa molto forte, con epicentro poco a nord di Finale Emilia, fa tremare tutto il Nord Italia, i valori registrati sono importanti: magnitudo 5.9 sulla scala Richter e 6.1 sulla scala della magnitudo momento. Non finisce qui. Nove giorni dopo, il 29 maggio 2012, alle ore 09:00 si verifica un’altra scossa molto forte, con epicentro nella zona di Medolla: magnitudo Richter 5.8 e 6.0 sulla scala del momento sismico. L’ultima scossa forte viene registrata il 3 giugno 2012, alle ore 21:20, magnitudo Richter 5.1 ed epicentro nei pressi di Novi di Modena. Dal 20 Maggio al 3 giugno sono state ben 8 le scosse registrate con una magnitudo superiore a 5, a testimoniare l’enorme quantitativo di energia liberata.

Queste terribili due settimane hanno provocato 27 vittime, oltre 10 miliardi di euro di danni e soprattutto hanno lasciato un segno indelebile sulla popolazione.

 

La sismicità dell’area

Subito dopo la sequenza sismica, iniziarono a circolare malumori e dubbi fra le popolazioni colpite, tra le frasi ripetute più spesso ricordiamo: “ma la pianura non era un’area asismica?”…”lo spessore di sedimenti che abbiamo sotto i piedi non dovrebbe fungere da materasso e attenuare le onde sismiche?” 

Come vedremo in seguito queste frasi sono completamente sbagliate e, purtroppo, rappresentano un indice di come nel nostro paese la conoscenza del territorio e della conseguente prevenzione sismica non siano state sufficientemente divulgate alla popolazione.

I terremoti di maggio 2012, ricadono su una complessa strutturazione del sottosuolo padano, che in letteratura scientifica prende il nome di Pieghe Ferraresi, le quali rappresentano nientemeno che le porzioni più esterne della catena Appenninica. Può sembrare strano, ma l’appennino geologicamente non si ferma alla pianura come siamo abituati a vedere, ma prosegue nel sottosuolo.

L’immagine seguente (Vai & Martini, 2001) è una schematizzazione della geologia e della tettonica dell’Appennino Settentrionale. Negli ovali rossi sono stati evidenziati i principali sistemi di pieghe sepolte che interessano la catena presente nel sottosuolo, da ovest verso est, cioè dalle più vecchie alle più giovani, riconosciamo: 1 – Pieghe del Monferrato; 2 – Pieghe Emiliane; 3 – Pieghe Ferraresi. 

La ricostruzione di queste strutture sepolte è stata possibile grazie alle ricerche condotte nei decenni passati dalle compagnie petrolifere. Esistono infatti metodologie d’indagine che permettono di restituire un’immagine delle geometrie del sottosuolo, una pratica paragonabile ad un’ecografia per noi umani.

Qui di seguito potete trovare un esempio di un output di un’indagine esplorativa condotta in pianura:  http://unmig.sviluppoeconomico.gov.it/deposito/videpi/allegati/6687.pdf

Inoltre, a tal proposito, sono stati studiati gli svariati pozzi perforati in pianura padana, sempre per ricerca di idrocarburi, analizzando i terreni attraversati dallo scavo. Lo studio di questi dati di sottosuolo, correlati alle conoscenze geologiche di superficie, ha permesso di ricostruire la geologia sepolta della pianura padana. 

Un esempio sono le sezioni schematiche come quella proposta nell’immagine seguente (Boccaletti et al., 2004).

Immaginate di affettare perpendicolarmente la pianura padana, con un taglio in direzione sud- nord, da Modena al Po: la torta a strati che vedremo all’interno avrà un aspetto del tutto simile a quanto mostrato nell’immagine sopra. Nel riquadro rosso è evidenziato il sistema di pieghe, accavallamenti, che insiste nel sottosuolo della bassa modenese e ferrarese. Ha l’aspetto di una dorsale sepolta, una vera propria catena montuosa presente nel sottosuolo, e così effettivamente è. La genesi di queste pieghe è la stessa che accomuna tutti i terremoti del territorio italiano, lo scontro delle Placche Africana ed Europea. Questa collisione, che ha portato alla nascita delle Alpi prima e dell’Appennino poi,  continua inesorabilmente, le rocce in profondità si deformano, si fratturano, e tutto questo vuol dire una cosa sola: terremoti. Ed è infatti in questo sistema di pieghe e accavallamenti sepolti sotto la pianura che si trovano le faglie che hanno generato i sismi di Maggio 2012.

Ma anche la storia parla, oltre alla geologia. Andando infatti ad analizzare la sismicità storica della città di Ferrara attraverso il Database Macrosismico Italiano – DBMI11, quello che otteniamo è riassunto nella seguente immagine:

 

Si può notare, a partire dai primi secoli del millennio, una sismicità presente e costante. Svetta su tutti il famoso terremoto di Ferrara del 1570 (magnitudo 5.5) che causò danni ingentissimi alla città estense.

Inoltre la struttura di Mirandola, quella responsabile del terremoto del 29 Maggio, era ben conosciuta in ambito scientifico, come mostra la seguente immagine (Carminati et al., 2007):

Nella figura sono rappresentate la struttura del suddetto terremoto del 1570 e la struttura di Mirandola che, ai tempi della pubblicazione dell’articolo (2007) era stata stimata in grado di generare terremoti di magnitudo max 6.2.

Un’altra informazione sulla “non-staticità” dell’area deriva inoltre dai corsi dei fiumi. In un bellissimo articolo del 2003 (Burrato et al., 2003) vengono messi in correlazione gli andamenti dei corsi fluviali con i movimenti di queste strutture del sottosuolo, il tutto riassunto nell’immagine seguente.

Sono graficati i corsi dei 4 principali fiumi dell’area, Po, Secchia, Panaro e Reno negli ultimi 2-3000 anni. Si può notare come il Po avesse un andamento più lineare rispetto ad ora, e che Secchia e Panaro scorressero fra loro più distanti rispetto ad ora. Un leggero sollevamento causato dalle strutture sepolte ha portato però all’idrografia che conosciamo oggi, i fiumi sono sensibilissimi anche al minimo cambiamento. Il Po è stato costretto a puntare prima verso Nord, e poi di nuovo verso Est, perché richiamato dal natural deflusso verso l’Adriatico. Il Secchia e il Panaro si sono avvicinati perché, se verso il Po il sollevamento li ha fatti divergere, poco più a sud al sollevamento in risposta avviene un abbassamento e quindi in quest’area i fiumi si sono avvicinati fra loro. (nella figura sono rappresentati dai simboli + e -). 

Il fiume Reno non riusciva a superare questo gap e si impaludava letteralmente, nella famosa Valle Padusa, il problema venne risolto solo ai tempi di Napoleone con il famoso Cavo Napoleonico del Fiume Reno.

La continua migrazione di questi corsi d’acqua e quindi della conseguente formazione di paleoalvei è stata una delle caratteristiche geologiche più influenti sulla forza distruttiva delle scosse sismiche, come vedremo a breve.

 

 

Il terremoto in area di pianura, effetti e fenomeni attesi

Avendo appurato che quest’area di pianura possiede una discreta pericolosità sismica, vediamo ora di affrontare un altro discorso, cioè quello che si lega alla frase “lo spessore di sedimenti che abbiamo sotto i piedi non dovrebbe fungere da materasso e attenuare le onde sismiche?”

No. Delle due, è il contrario. I sedimenti rilasciati nel tempo dai fiumi, sabbie, limi e argille, possono fungere da amplificatore delle onde sismiche. Una semplice analogia: a tutti sarà capitato di guidare d’estate l’automobile con il finestrino abbassato. Durante la normale marcia il rumore del motore sarà normalmente percepito, ma appena entreremo in una galleria, aumenterà a dismisura costringendoci a chiudere il finestrino. Questo perché le onde sonore emesse dal motore prima sono libere di propagarsi nell’atmosfera, mentre all’entrata nella galleria saranno continuamente rimbalzate dalle pareti del tunnel e ritorneranno ripetutamente verso l’abitacolo. La stessa cosa accade alle onde sismiche che provengono dal profondo, cioè dall’ipocentro che ha generato il sisma. Le onde potrebbero trovare un pacco sabbioso nelle quale rimangono intrappolate, rimbalzando all’interno di esso, ed andando quindi ad amplificare notevolmente l’onda sismica proveniente dal profondo. Il risultato è uno scuotimento maggiore e prolungato del suolo.

Un altro fenomeno che ha fatto scalpore in occasione dei terremoti di Maggio 2012, è stato la liquefazione dei terreni. Tale fenomeno, in presenza di determinate condizioni del primo sottosuolo e di terremoti importanti, non è affatto raro purtroppo. Il fenomeno avviene in sabbie sature in acqua, le quali in condizioni normali si comportano come un solido e offrono una determinata resistenza al taglio. Le onde sismiche generate dal terremoto possono annullare tale resistenza, portando queste sabbie al passaggio di stato da solido a fluido.  A causa della minor densità questo fluido cercherà quindi di risalire verso la superficie dove ci saranno dunque notevoli accumuli di sabbia e le conseguenze per gli edifici in loco saranno drammatiche: cedimenti, sprofondamenti, collassi e ribaltamenti. La migrazione dei corsi d’acqua prima discussa, ha portato alla formazione di svariati depositi di sabbie e limi in quest’area di pianura contribuendo ad aumentare notevolmente la suscettibilità alla liquefazione per questo territorio.

Effetti della liquefazione presso Sant'Agostino (Fe). Si ringrazia Luca Ronca per le immagini

 

 

Il terremoto dell’Emilia e l’ipotesi di genesi antropica

A seguito del terremoto, la Regione Emilia-Romagna ha incaricato  una commissione di scienziati di investigare sulle possibili cause del sisma, legate ad attività antropiche: la commissione ICHESE (International Commission on Hydrocarbon Exploration and Seismicity in the Emilia Region). La Commissione è stata istituita l’11 dicembre 2012 con decreto del Dott. Franco Gabrielli, Capo del Dipartimento della Protezione Civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri su richiesta del Presidente della Regione Emilia-Romagna Vasco Errani in qualità di Commissario Delegato.

Le conclusioni della commissione ICHESE sono state tutt’altro che chiare, tant’è vero che le 200 pagine di rapporto sono state ridotte ad una sola frase riportata nelle conclusioni che ha lasciato spazio ad interpretazioni di ogni tipo: “L’attuale stato delle conoscenze e l’interpretazione di tutte le informazioni raccolte ed elaborate non permettono di escludere, ma neanche di provare, la possibilità che le azioni inerenti lo sfruttamento di idrocarburi nella concessione di Mirandola possano aver contribuito a  innescare l’attività sismica del 2012 in Emilia.” (ICHESE, 2014).

Ovviamente si è sollevato un polverone. Sembrerà una finezza, ma è importante la distinzione fra terremoto indotto e innescato, cosa che puntualmente anche ICHESE sottolinea:

• Terremoti Indotti: nei quali uno sforzo esterno, prodotto dalle attività antropiche, è sufficientemente grande da produrre un evento sismico in una regione che non era necessariamente sottoposta a un campo di sforzi tale da poter generare un terremoto in un futuro ragionevolmente prossimo (in senso geologico). 

•Terremoti Innescati: per i quali una piccola perturbazione generata dall’attività umana è sufficiente a spostare il sistema da uno stato quasi-critico ad uno stato instabile. L’evento sismico sarebbe comunque avvenuto prima o poi, ma probabilmente in tempi successivi e non precisabili. 

In ogni caso, per l’area in questione, ICHESE fa riferimento ad un’ipotesi di innesco, cioè di un sistema instabile dove il terremoto, prima o poi, sarebbe avvenuto. La commissione ha incentrato la sua attenzione sulle attività antropiche del campo petrolifero di Cavone di Carpi, concessione mineraria Mirandola. Le attività indiziate furono quelle di reiniezione: estraendo da un giacimento ad olio, non si estrae solo olio, bensì una quota parte del fluido estratto è acqua, la cosiddetta “acqua di strato”. Quest’acqua, estremamente mineralizzata e inquinante, non può venire smaltita in superficie e dopo essere stata separata dall’olio viene reiniettata in profondità nel giacimento da cui è stata estratta. Non avendo però a disposizione tutti i dati, ICHESE ha indicato dei suggerimenti, circa l’ottenimento di maggiori dati per cercare di valutare l’eventuale influenza del campo petrolifero.

E così è stato fatto, a seguito della pubblicazione del report ICHESE, un accordo di collaborazione fra Regione Emilia – Romagna, Ministero dello Sviluppo Economico, Padana Energia - Gas Plus (titolare della concessione) e il patrocinio di Assomineraria ha portato all’istituzione del LabCavone: un programma di studio e monitoraggio del giacimento sotto inchiesta.

Dopo mesi di test ed esperimenti effettuati sul giacimento, il team di esperti americani, capitanati dalla Prof.ssa Luciana Astiz ha emesso il rapporto: si esclude una qualsiasi interazione fra le attività del campo Cavone e la sequenza sismica emiliana del 2012. 

Dagli esperimenti è emerso che il pozzo di reiniezione Cavone 14, il principale ed unico indiziato sul tavolo dei sospettati in quanto unico pozzo destinato a tale funzione, crea un’onda di sovrapressione all’interno del giacimento la quale viene dissipata totalmente in un raggio di circa 500 metri (Astiz et al., 2014). L’epicentro della prima scossa del 20 maggio si trova a 20 km di distanza dal suddetto pozzo di reiniezione e quindi risulta praticamente impossibile un nesso fisico tra essi.  

Anche un altro articolo di un team di scienziati slegati dal LabCavone giunge alle medesime conclusioni (Dahm et al., 2015). In questa pubblicazione gli autori affermano che la probabilità che il campo di Cavone abbia indotto un terremoto a 6000 m di profondità di Mw 6.1 (20 maggio 2012) è <1% all’ipocentro effettivo del 20 maggio, quindi a 20 km di distanza dai pozzi, e di <50% all’interno del campo petrolifero stesso. (immagine seguente)

 

 

La bufala delle magnitudo ritoccate

Un’altra frase che spesso si è sentita ripetere dopo il terremoto è la seguente: “la magnitudo è stata ritoccata! Prima era 6, la hanno abbassata subito per non risarcire i danni”.

Ovviamente la frase afferma il falso, ma vediamo da cosa nasce questo malinteso. Tutto parte dopo il terremoto dell'Aquila, dove un giornalista pasticcione confonde la scala Mercalli con la scala Richter.

La scala Mercalli è basata sui danni provocati del terremoto, cioè è una misura dell’intensità del sisma mediante gli effetti distruttivi che esso produce. La scala Richter è invece basata sul rilievo strumentale di energia liberata. Sono imparagonabili, come mele e banane.

Perchè il fatidico numero 6 riportato nelle "magnitudo abbassate"? Il numero 6 è relativo alla scala Mercalli, nell’immagine seguente sono descritti i primi 6 gradi della scala:

Andando a leggere le definizioni dei vari gradi, al sesto troviamo questo (la scala è composta da 12 gradi):

"Qualche leggera lesione negli edifici e finestre in frantumi." Compaiono quindi nella descrizione i primi danni, ed infatti è per questo che il limite base dei rimborsi è il 6, ma della scala Mercalli, non Richter.

 

Un terremoto si può misurare in diverse scale sismiche, quello del 20 maggio 2012 è stato:

•5,9 secondo Magnitudo locale ML (o Richter)

•6,1 secondo la magnitudo momento MW 

•secondo la scala Mercalli invece dipende dove ci si trova, a Finale Emilia ha raggiunto ad esempio il valore VIII-IX (otto - nove).

Non esistono quindi “magnitudo ribassate” per evitare risarcimenti, perchè la normativa dei rimborsi si basa sulla scala Mercalli e dunque sui danni provocati. Non sul valore di magnitudo Richter o momento che sia, non c'entrano nulla.

Inoltre le correzioni alle magnitudo misurate iniziali sono praticamente d’obbligo, la prima stima della magnitudo di un forte terremoto non è quasi mai quella giusta, sono necessarie ulteriori analisi e ricalcoli per determinare la magnitudo con precisione.

 

 

Pericolosità, rischio sismico e norme antisismiche 

Quelli sopra sono due concetti ben differenti, il più delle volte erroneamente usati come sinonimi. Il rischio (R) è funzione della pericolosità e di altri due fattori e si esprime attraverso la famosa equazione R = P x V x E, dove P, Pericolosità, V, Vulnerabilità degli edifici in quella determinata area, E, Esposizione, cioè i beni presenti in superficie. 

Se in un deserto ci fossero delle faglie in grado di scatenare sismi fortissimi, la pericolosità sarà dunque elevatissima, ma il rischio sarebbe praticamente nullo perché i termini V e E equivarranno a zero (in superficie non c’è niente).

Tutto cambia in aree popolate, dove la qualità edilizia e la concentrazione superficiale governano il rischio sismico, ovviamente uniti alla pericolosità sismica di base.

 Dopo il sisma dell’Emilia ha creato sdegno vedere manufatti costruiti di recente, come capannoni e case, crollare o subire gravi danni. Si è dunque assistito ad un’elevata vulnerabilità di determinate strutture. Nulla era costruito fuori legge, era tutto in regola. Ma allora uno si chiede, che regole abbiamo?

Le regole attuali, le più severe e rigorose, sono state emanate nel 2008 (Norme Tecniche per le Costruzioni – NTC2008) ed entrate in vigore nel giugno 2009. Negli anni antecedenti al 2009, pur essendoci già le conoscenze per attuare le indicazioni della normativa 2008 sulla progettazione, si è vissuto un periodo di covigenza normativa: si potevano utilizzare sia le vecchie normative, sia quelle più moderne che hanno poi costituito il testo delle NTC2008. Ovviamente quelle più moderne avrebbero richiesto costi maggiori per la progettazione a favore di sicurezza, mentre quelle più obsolete erano meno severe e quindi avrebbero richiesto uno sforzo economico minore. 

Quest’ultimo passaggio sembra “la classica storia all’italiana”, ma purtroppo è realmente andata così.

 

Conclusioni

Un terremoto non è mai un evento piacevole; potremmo paragonarlo ad un errore, perché come da un sbaglio si impara, un terremoto oltre ai danni e alle vittime, lascia anche molti insegnamenti. Solo conoscendo e studiando i terremoti passati si potrà non avere paura ed essere preparati quando il prossimo terremoto si presenterà. Basti pensare agli studi di microzonazione sismica che ora vengono condotti dai comuni, hanno avuto un’accelerata notevole dopo il sisma dell’Aquila. Il terremoto dell’Emilia ci ha ricordato che la pianura, pur essendo tutta piatta, nasconde dei pericoli naturali sotto di se. Solo aumentando gli studi utili a caratterizzare geologicamente come una determinata zona si comporti in caso di terremoto (amplificazione sismica, liquefazione...), approfondendo gli studi di ingegneria sismica sugli edifici e divulgando il più possibile le buone pratiche di protezione civile alla popolazione, cioè i comportamenti da tenere in caso di sisma, potremo convivere con il terremoto in maniera cosciente. Tutto quello precedentemente descritto prende il nome di prevenzione, le previsioni lasciamole ai meteorologi.

 

 

Riferimenti Bibliografici:

•Astiz, L., J. H. Dieterich, C. Frohlich, B. H. Hager, R. Juanes, and J. H. Shaw (2014), On the potential for induced seismicity at the Cavone oilfield: Analysis of geological and geophysical data, and geomechanical modeling, Report for the Laboratorio di Monitoraggio Cavone, 139 pp. 

•Boccaletti, M., Bonini, M., Corti, G., Gasperini, P., Martelli, L., Piccardi, L., P. Severi, P, & Vannucci, G. (2004). Carta sismotettonica della regione Emilia-Romagna. Scala 1:250.000. Note Illustrative, Serv. Geol. Sismico e dei Suoli, Reg. Emilia Romagna, SELCA-Firenze.

•Burrato, P., F. Ciucci and G. Valensise (2003). An inventory of river anomalies in the Po Plain, northern Italy: evidence for active blind thrust faulting, Annals of Geophys., 46 (5), 865-882. 

•Carminati, E., Enzi, S., Camuffo, D. (2007). A study on the effects of seismicity on subsidence in foreland basins: An application to the Venice area. Global and Planetary Change, vol: 55 (2007) 237-250.

•Dahm, T., Cesca, S., Hainzl, S., Braun, T., & Krüger, F. (2015). Discrimination between induced, triggered, and natural earthquakes close to hydrocarbon reservoirs: A probabilistic approach based on the modeling of depletion‐induced stress changes and seismological source parameters. Journal of Geophysical Research: Solid Earth, 120(4), 2491-2509.

•ICHESE (International Commission on Hydrocarbon Exploration and Seismicity in the Emilia-Romagna region) 2014: Report on the hydrocarbon exploration and seismicity in Emilia Region. Regione Emilia-Romagna, E-R Ambiente, Geologia, sismica e suoli, Bologna, Italy, 213 pp., 

•INGV DBMI11: http://emidius.mi.ingv.it/DBMI11/

•Vai G.B., Martini I.P., (2001), Anatomy of an Orogen – The appennines and adjacent Mediterraen Basins; Kluwer Academic Publishers.

 


A cura di: Giulio Torri
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