Fare il confronto tra il clima attuale e il clima passato risulta sempre molto complicato, in primis per un fattore: la registrazione sperimentale dei dati avviene solamente da circa 160 anni (ca 1850); tutte le informazioni antecedenti sono dedotte da record storici, record geologici, biologici e astronomici : in questo caso parliamo di proxy ovvero di grandezze misurate che ne approssimano un’altra.
Come si può notare, le temperature della superficie sono aumentate maggiormente nell’emisfero nord e soprattutto nelle aree continentali, questo perché nell’emisfero Boreale le aree continentali sono in volume maggiore rispetto all’emisfero Australe e purtroppo la rete di rilevamento dei dati non è omogenea, al contrario è troppo concentrate in certe zone. Inequivocabile è comunque il trend di riscaldamento con un’accelerazione repentina negli ultimi 30 anni.
Ora entra in gioco il parametro più importante quando si effettuano studi di un certo tipo: la scala. Parlare di milioni di anni è differente dal parlare di 20 anni, ma questo verrà approfondito più avanti. E’ evidente come nel generale trend di crescita ci siano fluttuazioni dell’ordine dei 30 anni circa fra periodi caldi e freschi.
Un altro punto sul quale i sostenitori del GW si soffermano molto è la CO2:
La figura mostra l’andamento della curva di Keeling (lo studioso che nel 1958 iniziò il rilevamento della CO2 alle Hawaii) alle varie latitudini. Le fluttuazioni registrate sono più evidenti nell’emisfero nord e questo si collega a quanto detto in precedenza: maggior quantità di terre emerse si trovano nell’emisfero nord, maggior vegetazione e quindi un maggior interscambio di anidride carbonica nei cicli stagionali delle piante. Detto questo, il valore di CO2 di quasi 400ppm dei giorni nostri non era mai stato raggiunto e qui sorge spontanea la domanda chiave che tutti i climatologi al mondo si fanno: è nato prima l’uovo o la gallina? Se si osserva la curva della CO2, del CH4 e del riscaldamento (dedotto dal δ18O) vediamo che le curve sono praticamente sovrapponibili, quindi chi è la causa e chi è l’effetto?
Questi sono i problemi attuali, ma spesso per capire i problemi attuali e futuri vengono fatti studi sul passato.
Poco sopra è stato citato il parametro δ18O, il quale è un proxy importantissimo per ricavare le paleotemperature.
Nella maniera più semplice: il δ18O, ricavato da analisi su campioni, non stabilisce una misura diretta della paleotemperatura, ma semplicemente un’approssimazione data dal rapporto isotopico di 18O e 16O(isotopi stabili dell’ossigeno).
Nella formula è indicato “Sam” come abbreviazione di “Sample”, ovvero il rapporto isotopico misurato nel campione dell’esperimento; mentre SMOW (Standard Mean Ocean Water) è il valore di riferimento.
L’isotopo 16O è il più leggero, quindi il primo ad evaporare ed il primo a venir catturato nelle nevi e nei ghiacci. Il 18O al contrario è più pesante e quindi è il primo ad essere scaricato dalle nuvole durante le precipitazioni. Com’è quindi possibile ricavare indicazioni di paleotemperatura da questo rapporto isotopico?.
Nel caso in cui dall’equazione risulti un δ18O molto positivo vorrà dire che ci sarà una maggioranza di 18O (perché è al numeratore) quindi la maggior parte dell’ 16O (essendo il più abbondante sul pianeta) dovrà essere intrappolato da qualche parte, ovvero nelle calotte glaciali, e non presente nel normale ciclo dell’acqua (periodo climatico “freddo”).
Al contrario un rapporto negativo mi indica un periodo climatico “caldo”.
Avendo appena discusso il funzionamento del rapporto isotopico dell’ossigeno si può passare all’analisi del prossimo diagramma.
In ascissa è rappresentato il tempo mentre in ordinata si trova il δ18O: si nota come a valori negativi corrisponda un generale riscaldamento mentre a valori positivi corrisponda un raffreddamento. La scala è delle centinaia di milioni di anni, tutto il fanerozoico.
Si ottiene quindi un sistema dinamico che alterna periodi caldi a periodi freddi, i periodi glaciali sono:
limite Ordoviciano – Siluriano;
limite Carbonifero – Permiano;
Paleogene – Quaternario
L’era glaciale indicata al limite Jurassico – Cretaceo è argomento di dubbi e perciò non viene inserita come certa.
A questa scala il trend generale è di raffreddamento dopo l’ultimo “greenhouse event” nel cretaceo (80 mln di anni fa - il periodo dei dinosauri), quindi la temperatura odierna è ben inferiore a quella del cretaceo superiore oppure del successivo PETM (Paleocene – Eocene Thermal Maximum).
Si giunge quindi ad un punto cruciale di tutto il discorso: perché dal cretaceo in poi si nota questo continuo trend di discesa? La risposta, sta nella tettonica a placche.
Questo era il nostro pianeta alla fine del cretaceo.
Osservando la disposizione dei continenti, la circolazione oceanica era ben diversa da quella attuale e si può notare come quasi tutte le masse d’acqua erano ben connesse fra di loro: questa situazione cambierà drasticamente. La chiusura di molti passaggi con la formazione di un esteso orogene (sistema Alpi-Himalaya) muterà radicalmente la circolazione oceanica. Il fattore più importante è forse il ruolo che gioca l’Antartide, questo continente rimane un punto fisso mentre le altre masse continentali si sono scollate da esso e hanno preso strade diverse. Questo è molto importante perché l’apertura dello stretto di Drake e dello Stretto di Tasmania porteranno prima alla formazione della ACC (Antarctic Circumpolar Current) e poi di conseguenza al passaggio Eocene – Oligocene (33.7 mln di anni fa) alla formazione della prima calotta di ghiaccio nell’emisfero Sud.
Per la calotta dell’emisfero nord invece, bisogna attendere circa 30 mln di anni, ovvero la chiusura dello stretto di Panama (4-5 mln di anni fa). L’ipotesi è che la chiusura dello stretto di Panama abbia portato alla creazione della corrente del Golfo, la quale è stata in grado di trasferire grandi masse di umidità ad alte latitudini generando copiose precipitazioni e quindi la formazione embrionale della calotta; questa ipotesi è tutt’ora molto discussa. Dati certi sono invece le età delle calotte.
Il sistema climatico è quindi dal Paleogene in costante raffreddamento, ma cambiando la scala temporale si può notare che questa affermazione non è del tutto corretta.
Si prenda come esempio il quaternario dove fasi glaciali e interglaciali si alternano fra di loro. Noi esseri umani ci troviamo al giorno d’oggi in un interglaciale con un max di caldo e per ritrovare una situazione simile bisogna andare indietro allo stadio isotopico 5 (ricavati sempre dalla curva del δ18O), ovvero a circa 125.000 anni fa.
Queste curve denotano una ciclicità, la quale viene ricondotta ai cicli di Milankovitch (ai quali sarà èresto dedicato un articolo) e quindi ai fenomeni di eccentricità dell’orbita, obliquità dell’asse e precessione degli equinozi.
Nell’ultimo milione di anni le variazioni climatiche hanno seguito il ciclo dell’eccentricità, il quale ha un periodo di 100.000 anni, mentre prima (da 1 a 3 mln di anni fa) i cambiamenti seguivano il ciclo dell’obliquità, cioè 41.000 anni. Il motivo di questa variazione tutt’ora non è chiaro, quindi stabilirne una fine lo è ancora meno.
Le quattro curve del grafico, relative a precessione, obliquità, eccentricità e radiazione solare sono curve sinusoidali, praticamente simmetriche.
La curva degli stadi di glaciazione invece non è simmetrica, è la classica a “denti di sega”. Si può benissimo vedere come il passaggio da un “caldo” ad un “freddo” sia molto più lento rispetto ad un passaggio “freddo-caldo”. La conclusione appare immediata: le curve sono sovrapponibili, tutti i massimi coincidono quindi il clima è influenzato da questi parametri, ma non è così.
Questi forzanti climatici sono molto importanti ma bisogna immettere nel motore dei feedback (sia positivi che negativi) che aiutino il sistema nei cambiamenti.
A cura di: Giulio Torri